Una favola per Carla

 

 

 Una favola per Carla

(ma la dedico anche a tutti i bambini… grandi e piccoli!)

 

 

LA STORIA DI PICCOLO ANGELO

 

 

 

 

C’era una volta un piccolo angelo…

L’avevano mandato sulla terra senza dirgli cosa doveva fare…. o forse era talmente emozionato che non aveva neppure sentito cosa gli avevano detto….. era partito come una freccia, felice di poter finalmente dimostrare di essere diventato responsabile e maturo….

Era talmente emozionato che, una volta aperto il grande portone del Paradiso, non si era accorto che c’erano degli scalini ed era ruzzolato giù, fin sulla terra, con un gran tonfo,

Meno male che era caduto in un grande prato, con l’erba morbida e profumata e tanti fiorellini bianchi che ora guardava estasiato….

“Ma guarda come sono carini questi fiori…. sono proprio come quelli che abbiamo noi su nei prati del cielo!!!”

Si alzò in piedi, si sentiva un po’ acciaccato, qualche dolorino…. Ma caspita, era caduto da lassù….

Guardò in alto: ma dove era il Paradiso? Pensava proprio che l’avrebbe visto dalla terra, si sarebbe sentito più sicuro, avrebbe potuto salutare i suoi compagni…..

Strano, però, dall’alto la terra si vedeva bene, si vedevano le persone, le loro case….

Ogni tanto lui e i suoi amici angioletti scendevano per fermarsi a guardare dietro le finestre delle case…

A lui piaceva particolarmente una finestra con i fiori sul davanzale e le tendine ricamate. Quando le tendine erano sollevate potevano vedere una mamma che metteva a letto il suo bambino.. gli cantava delle dolci canzoni, gli raccontava una fiaba e lo carezzava piano. Poi, quando il bambino aveva chiuso gli occhi ed era scivolato nel sonno, spegneva la luce e tornava in cucina.

Gli sarebbe piaciuto sapere cosa voleva dire essere un bambino…

Gli angioletti restavano lì, cercando di ascoltare anche loro le fiabe e le canzoni… ma la finestra era chiusa e non si sentiva niente.

Il piccolo angelo rimase pensieroso….

Cosa doveva fare? Proprio non se lo ricordava.

Ah! Se fosse stato attento a quello che gli diceva l’angelo capo! Ora avrebbe cominciato il suo lavoro e sarebbe tornato presto su, nella sua casa di stelle…

Ma oramai il guaio era fatto…. avrebbe dovuto arrangiarsi!

In fondo al prato c’era una casa.. le finestre erano illuminate.

Andrò a vedere lì! Pensò il piccolo angelo.

Nella casa c’era una luce accesa.

Come era solito fare con i suoi amici, piccolo angelo cercò di guardare dentro attraverso i vetri della finestra.

Era lì, col nasino incollato al vetro e guardava con tanta attenzione, che la signora che stava leggendo accanto alla finestra si girò a guardare. Le sembrava che qualcuno la stesse spiando.

Vide quei due occhioni che la guardavano attenti e quel buffo nasetto incollato al vetro. Fece un sorriso. Poi si alzò e andò alla porta.

Piccolo angelo era tutto rosso per l’emozione e non era riuscito neppure a fare un passo: non aveva mai visto una persona così da vicino.

“Cosa fai bambino qui fuori da solo?”

Piccolo angelo si guardò intorno. Come faceva a vederlo?

“Ehi, dico a te! Come mai sei solo?”

Eh, sì, parlava proprio con lui….

Si guardò addosso: non aveva più la sua bella camicina splendente come la luce. Aveva addosso un paio di pantaloncini stinti, una magliettina leggera e dei sandaletti, ecco perché sentiva tanto freddo!.

”Da dove vieni bambino?”

Piccolo angelo non sapeva cosa rispondere: col ditino indicò in alto. La signora guardò e vide le alte montagne lontane.

“Da lì vieni? Come hai fatto a fare tutta quella strada da solo?”

Piccolo angelo provò a rispondere ma non era capace, da loro non avevano bisogno di parole.

Cosa avrebbe potuto dire… vengo dal Paradiso? Non gli avrebbe creduto!

“Vieni dentro, ti preparo qualcosa, sei tutto infreddolito e sarai stanco!”

Gli portò una cioccolata calda calda e dei biscotti.

Oh, era questo che la signora dava al suo bambino… che bontà!

“Sai, mi ricordi tanto il mio nipotino che vive lontano” disse la signora. “Sai che faremo? Tu stanotte dormirai qui, domattina ti accompagnerò in macchina a cercare i tuoi genitori. Chissà come staranno in pensiero!”

Piccolo angelo scoppiò a piangere.

“Perché piangi? Non li hai i genitori?”

Piccolo angelo fece di no con la testa.

“Allora resterai qui con me, io sarò la tua nonna e tu il mio nipotino”

Forse era questo che l’angelo capo gli aveva detto: doveva far felice una nonna e così anche il suo desiderio sarebbe stato esaudito!

Piccolo angelo rimase nella casa ed era proprio felice…..ogni tanto guardava in su… ma non vedeva altro che il cielo e le nuvole…

Ma sapeva bene cosa c’era di là…..

 

  1. è davvero molto bella questa favoletta e poi scritta in un modo così tenero emoziona anche me che son bimbo dentro..e pure fuori a volte. un abbraccio cara Fausta con i miei più affettuosi auguri per l’anno che stà arrivando.

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  2. questa favola mi pace Fausta, mi ha rasserenato dopo la lettura e la rabbia che ha provocato in me la lettera del post precedente, tenera e garbata, mette serenita’, grazie per averla raccontata cara

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  3. E’ lunga, ma è bella (trovata per caso e ho pensato a te) Abbraccio mia cara Il più bel pomeriggio dell’anno Quando il momento del piacere si fa più intensoMi sento affondare come una lenta radicenel dominio erbaceo del luogo in cui mi trovo.È il mio tempo, la mia opulenta, possessivaLibertà in caduta libera da salariate routine,Intrusioni, noia sconfinata.È la mia libertà tra alberi ed erbaQuando il silenzio è l’imperfetto metallo della menteE il pensiero gira e si gingilla nel suo spazioLibero da desiderio e compromessi.Per tre ore senza storia né seteIl tempo è la mia libera e intimaRepubblica del vento fresco e del mare azzurro.Per tre ore dovrò essere tutor di me stessoNella scuola rivierasca all’aperto arredata d’erba.Libri immaginari mi volano nelle maniDa alberi-biblioteca. È tutto ciò che mi serve.Il canto degli uccelli è un cip di silenzio assortoRestituito su rami colmi di frullio, e io sono silenziosoSilenziosissimo, in una luce filosofica.Sono tutt’orecchi nella mia voliera rivierasca.Il mio respiro è drogato di verità da sussurrare daInteriori invisibilità e la sacralità con cuiTemerari piccoli uccelli vivono sempreNella loro istintiva agiatezza. DisperdoGli appetiti della piccola poesia e mi aproA qualsiasi cosa voglia visitarmi. Sono tutt’occhiQuando la luce scivola sull’acqua e le foglie frusciano.Sono silenziosissimo, un tiratore nascosto nella siepeNei cui orizzonti si trova l’infinità chiaritaSorrido a me stesso, e la mia pelle è vivaA migliaia di tocchi leggeri, lievissimiBaci delicati del tempo, baci pensati,Tocchi che sono timidamente usciti dal nascondiglioPoi di nuovo andati via nel lontano Abbandono da cui sono venuti e in cui vivono.Perfezionando il mio pomeriggio, sto attentoAd antiche fragranze che fluttuano verso di meInspiegate al di sopra delle distanze del mondo.È il mio tempo. Lo sto rendendo reale.Mi sto liberando di me stesso. È il mio momentoSono libero di fare qualsiasi cosa io vogliaIn queste ore, e ho scelto questaLibertà, che è una dissoluzioneFino alle punte del respiro, una momentanea Perdita del senso del dovere, un’indigenza Per caso, uno scivolar via dalle quotidianeMiserie e opere nella mia libertàChe è al di là di ogni altra e sono io.Sono libero di fare come mi pare, e lo faccio;Lentamente affondo come una radice in nome della vitaE lo faccio in nome di ciò che essa è.Queste sono le mie ore migliori del 1993.Orecchie, occhi, naso, pelle e gusto se ne sono andati.Per un po’ non sarò nulla e sarò buono.Poi torneranno altri tempi e la storia.Dovrò alzarmi e lasciare il mio nascondiglio,La mia istintiva repubblica a forma di campo.Andrò a casa, e sarò quell’altro.Andrò in ufficio. VivròUn altro anno bramando le mie ore miglioriNel pomeriggio perfetto di sole e di saleLe mie scarpe vuote di fianco al letto mi diranno,"Quando ti riporteremo indietro? Perché abbiate pazienza?Sei tu quello che ha molto di più, così tanto di più da perdere".

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