Cesare Pavese

 

CESARE PAVESE

 

Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe in provincia di Cuneo, dove il padre, cancelliere del tribunale di Torino, aveva un podere.

Ben presto la famiglia si trasferisce a Torino. Le colline del suo paese rimarranno per sempre impresse nella mente dello scrittore insieme al ricordo nostalgico dell’infanzia..

Il padre di Cesare muore quasi subito: questo episodio inciderà molto sull’indole del ragazzo, già di per sé scontroso e introverso.

 

Il conseguente irrigidirsi della madre che, con la sua freddezza e il suo riserbo, attuerà un sistema educativo più da padre asciutto e aspro che non da madre affettuosa e dolce, accresce la sua tendenza al «vizio assurdo, al suicidio..

Nella sua vita e nei suoi primi scritti traspaiono un disperato bisogno d’amore, una ricerca di apertura verso gli altri, verso il mondo, verso le relazioni interpersonali, insieme al suo destino di solitudine, di amarezza: la solitudine e il bisogno di non essere solo.

 

Destinato a Roma per aprire una sede della Einaudi, si trova isolato e la sua ripugnanza per la violenza e gli orrori che la guerra comporta lo spingono a rifugiarsi nel Monferrato presso la sorella, dove vivrà per due anni «recluso tra le colline» con un accenno di crisi religiosa e soprattutto con la certezza di essere diverso, di non sapere partecipare alla vita, di non essere capace di avere ideali concreti per vivere:

Tornato a Roma per lavoro conosce una giovane attrice: Constance Dowling.

La giovane dalle efelidi rosse prova una sincera ammirazione per l’uomo famoso, intelligente e sensibile, ma per Cesare è l’amore, forte, profondo e quando lei lo abbandona per tornare in America per Pavese è il crollo: Per lei scriverà “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”

 

Questo abbandono, l’angoscia che lo assale nonostante i successi letterari (nel 1938 “Il compagno” vince il premio Salento; nel 1949 “La bella estate” ottiene il premio Strega; pubblica “La luna e i falò” considerato il suo miglior racconto) lo fanno ricadere nella solitudine e nel senso di vuoto a cui non riesce più a reagire.

Logorato, stanco, ma anche profondamente lucido, si toglie la vita in una camera dell’ albergo Roma di Torino ingoiando una forte dose di barbiturici. È il 27 agosto del 1950.

Sul comodino della stanza, sulla prima pagina dei “Dialoghi con Leucò”, lascia scritto «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.».

 

Aveva solo 42 anni.

 

Io amo moltissimo le sue opere, non mi somigliano, non corrispondono al mio pensiero, ma è proprio la sua malinconia, questo male di vivere che traspare dalle sue parole e la bellezza del suo linguaggio che  me lo rendono profondamente caro……

 

  1. Da giovane lo amavo anch’io proprio per questa sua profonda tristezza……me ne sono allontanata pian piano per non lasciarmi contagiare…..in me c’era una certa tendenza al pessimismo…..allora mi sono data alla lettura di libri di formazione che mi spingevano verso un sano realismo, verso l’accettazione di quello che ero e soprattutto verso una solida fede in Dio e nelle capacità che mi aveva donato.

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  2. Cara Fausta,la casa natale di Pavese è a 3 Km da casa mia. Le colline che ogni tanto vedi nel mio blog sono quelle raccontate dal nostro poeta/scrittore piemontese. Come pure il Belbo di cui ogni tantomi senti "parlare", causa piene improvvise o l’arrivo di qualche nuoco uccello nelle sue acque.Se mai avessi voglia di venirmi a trovare, posso prentare la visita sia alla sua casa natale (ancora in parte ammobigliata e con tantissmi suoi ricordi) e sia alla casa dell’amico Nuto.La biblioteca che frequento con più assidituà e proprio quella a lui dedicata a Santo Stefano Belbo. Molto ben fornita di testi e poi i ragazzi che la gestiscono sono davvero molto in gamba!Allora, se vieni in basso piemonte sai che io ti aspetto!

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