Riprendo da L’Avvenire uno dei brevi pensieri mattutini di Gianfranco Ravasi:
Il conto, prego!
Un giorno ci sarà presentato il conto per la luce del sole e lo stormire delle fronde, per la neve e per il vento, per l’erba e per l’acqua. Per l’aria che abbiamo respirato e lo sguardo alle stelle, le sere e le notti. Un giorno dovremo andar via e dovremo pagare. Il conto, per favore! E il padrone di casa dirà, ridendo: «Ho offerto io sino ai confini della terra. È stato un vero piacere!». Con questa parabola il teologo dell’università di Heidelberg, Klaus Berger, chiudeva il suo libro Gesù (Queriniana 2007). La propongo in queste giornate che scandiscono l’irrompere dell’estate, una delle tappe del ciclo della natura. Tappe che la civiltà contadina viveva con emozione, santificava e celebrava con passione, e che noi, appartenenti a una società industriale e informatica, neppure percepiamo, se non per le solite banalità sulle stagioni che non sono più quelle di una volta o al massimo per i bollettini meteorologici. Eppure è un dono costante che noi riceviamo, senza più ammirarne il valore, comprenderne il costo certamente superiore a quello di tante cose non necessarie che ci vengono proposte e che acquistiamo. Il segno evidente del disprezzo per questo dono insostituibile è nell’inquinamento e nella devastazione ambientale, ma anche nell’incapacità di valutare la preziosità unica e assoluta di queste realtà quotidiane. Un aforisma arabo afferma: «Nulla è più ovvio dell’aria, ma guai a non respirarla!». E lo stesso si potrebbe ripetere per l’acqua e per la luce. Io, però, vorrei aggiungere un’altra considerazione. Non sappiamo più contemplare e stupirci del miracolo continuo che il Creatore compie così da vivere un’esperienza come quella che cantava p. Turoldo: «Tu non sai cosa sia la notte / sulla montagna / essere soli come la luna- / mentre il vento appena vibra / alla porta socchiusa della cella».
E questa è la poesia di Turoldo da cui sono tratti i pochi versi…
In attesa che l’amico torni
Tu non sai cosa sia la notte
sulla montagna
essere soli come la luna;
né come sia dolce il colloquio
e l’attesa di qualcuno
mentre il vento appena vibra
alla porta socchiusa della cella.
Tu non sai cosa sia il silenzio
né la gioia dell’usignolo
che canta, da solo nella notte;
quanto beata è la gratuità,
il non appartenersi
ed essere solo
ed essere di tutti
e nessuno lo sa o ti crede.
Tu non sai
come spunta una gemma
a primavera, e come un fiore
parla a un altro fiore
e come un sospiro
è udito dalle stelle.
E poi ancora il silenzio
e la vertigine dei pensieri,
e poi nessun pensiero
nella lunga notte,
ma solo gioia
pienezza di gioia
d’abbracciare la terra intera;
e di pregare e cantare
ma dentro, in silenzio.
Tu non sai questa voglia
di danzare
solo nella notte
dentro la chiesa,
tua nave sul mare.
E la quiete dell’anima
e la discesa nelle profondità,
e sentirti morire
di gioia
nella notte.
(David Maria Turoldo)