condivido il pensiero del rifugiato somalo. Molto spesso c’è gente che si dimentica dei tempi in cui l’Italia andava a colonizzare Eritrea ed Etiopia o di quando emigrava in Germania e Svizzera per lavorare, oppure di quando si spostava a Torino e Milano….
Occorre una maggiore tolleranza ma nel contempo bisogna essere più intransigenti nel far rispettare la Legge quando ci sono elementi che vengono in Italia per delinquere.
E’ questa la verità, cara Fausta, che loro fuggono da una morte certa, di cui ignorano solo le modalità finali.
Fame, malattia, guerra.
Non possono neanche scegliere.
Fuggono per avere una speranza.
Come fuggivano i nostri nonni.
A milioni.
Partivano da paesi meravigliosi ed attraversavano oceani burrascosi.
Lasciavano le certezze antiche, le famiglie, gli affetti, le tradizioni secolari.
Ma anche una miseria disperata, la fame, l’assenza di futuro.
Dietro di loro restava la memoria, dentro di loro cresceva la nostalgia, intorno a loro si realizzava la speranza.
Molti di loro morivano o si perdevano.
Molti si costruivano famiglia e futuro.
Restavano tutti un pò al di fuori della vita, emarginati dal presente, attaccati al passato.
Ma donavano alla nuova patria che li accoglieva pur discriminandoli, la vita, il loro sangue ed anche tutte le loro energie.
Quando sento un italiano che fa il razzista mi monte il sangue alla testa: ha dimenticato un suo parente certamente, qualche zio, qualche nonno, qualche cugino…
Un abbraccio,
Piero
Caro Piero, vorrei che tutti, proprio tutti, leggessero le tue parole e la memoria tornasse insieme all’accoglienza e alla condivisione: se non si sprecasse tanto quello che c’è basterebbe per tutti!
E’ vero. Noi non abbiamo alcun merito per essere nati….dalla parte giusta.
E nessuno di noi dovrebbe dimenticarsi di quanti ” nostri nonni” sono fuggiti dalla miseria per cercare lavoro. Credo che ognuno di noi abbia la sua storia in casa.
E credo che nessuno dovrebbe dimenticare che, negli USA, la comunità più perseguitata, dopo i neri, fu la comunità italiana….
E credo che sia fondamentale mantenerne la memoria e tenere il cuore aperto.
Emanuela
“Mostrami il barbone che dorme nella panchina della stazione, mostrami le macchie di wisjy sul pavimento, ed il bevitore che inciampa sulla porta, e mostrami ancora la città dove cadono le bombe….ed io ti mostrero’, con mille ragioni, se io e te non siamo al loro posto, e’ solo un caso” (Phil Ochs). E cosi’, se noi non siamo dei disperati che si buttano in mare, a Lampedusa, e’ solamente..un caso, come dice la canzone. Ciao Fausta 🙂
Ciao Fausta. Sentire Feliciano (che ho scoperto facendo il mio post chiamarsi anche “Montserrate Garcia”) o pensare a lui per “che sara’” e’ molto riduttivo. Trenta strumenti, ed e’ uno dei migliori chitarristi al mondo. Ciao 🙂
L’ha ribloggato su La vespa e….
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Grazie!
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Parole e foto che mi fanno venire solo una gran voglia di piangere.
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poveretti…. che mondo ingiusto
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verissimo! povera gente….
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condivido il pensiero del rifugiato somalo. Molto spesso c’è gente che si dimentica dei tempi in cui l’Italia andava a colonizzare Eritrea ed Etiopia o di quando emigrava in Germania e Svizzera per lavorare, oppure di quando si spostava a Torino e Milano….
Occorre una maggiore tolleranza ma nel contempo bisogna essere più intransigenti nel far rispettare la Legge quando ci sono elementi che vengono in Italia per delinquere.
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Infatti, non si può dire che non hanno ragione…
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Parole che fanno riflettere.
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E’ questa la verità, cara Fausta, che loro fuggono da una morte certa, di cui ignorano solo le modalità finali.
Fame, malattia, guerra.
Non possono neanche scegliere.
Fuggono per avere una speranza.
Come fuggivano i nostri nonni.
A milioni.
Partivano da paesi meravigliosi ed attraversavano oceani burrascosi.
Lasciavano le certezze antiche, le famiglie, gli affetti, le tradizioni secolari.
Ma anche una miseria disperata, la fame, l’assenza di futuro.
Dietro di loro restava la memoria, dentro di loro cresceva la nostalgia, intorno a loro si realizzava la speranza.
Molti di loro morivano o si perdevano.
Molti si costruivano famiglia e futuro.
Restavano tutti un pò al di fuori della vita, emarginati dal presente, attaccati al passato.
Ma donavano alla nuova patria che li accoglieva pur discriminandoli, la vita, il loro sangue ed anche tutte le loro energie.
Quando sento un italiano che fa il razzista mi monte il sangue alla testa: ha dimenticato un suo parente certamente, qualche zio, qualche nonno, qualche cugino…
Un abbraccio,
Piero
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Caro Piero, vorrei che tutti, proprio tutti, leggessero le tue parole e la memoria tornasse insieme all’accoglienza e alla condivisione: se non si sprecasse tanto quello che c’è basterebbe per tutti!
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E’ vero. Noi non abbiamo alcun merito per essere nati….dalla parte giusta.
E nessuno di noi dovrebbe dimenticarsi di quanti ” nostri nonni” sono fuggiti dalla miseria per cercare lavoro. Credo che ognuno di noi abbia la sua storia in casa.
E credo che nessuno dovrebbe dimenticare che, negli USA, la comunità più perseguitata, dopo i neri, fu la comunità italiana….
E credo che sia fondamentale mantenerne la memoria e tenere il cuore aperto.
Emanuela
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“Mostrami il barbone che dorme nella panchina della stazione, mostrami le macchie di wisjy sul pavimento, ed il bevitore che inciampa sulla porta, e mostrami ancora la città dove cadono le bombe….ed io ti mostrero’, con mille ragioni, se io e te non siamo al loro posto, e’ solo un caso” (Phil Ochs). E cosi’, se noi non siamo dei disperati che si buttano in mare, a Lampedusa, e’ solamente..un caso, come dice la canzone. Ciao Fausta 🙂
Marghian
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che tristezza!!
Bisogna mettersi nei loro panni per saperli comprendere!!
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Ciao Fausta. Sentire Feliciano (che ho scoperto facendo il mio post chiamarsi anche “Montserrate Garcia”) o pensare a lui per “che sara’” e’ molto riduttivo. Trenta strumenti, ed e’ uno dei migliori chitarristi al mondo. Ciao 🙂
Marghian
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