Il bucato

Quando, dopo una serie di giorni nuvolosi o addirittura piovosi spunta una giornata di sole, balconi e finestre alzano il gran pavese… panni tesi ad asciugare, a farsi profumare dal sole!

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Anche il mio bucato è già bello in ordine sui fili che ho la fortuna di avere fuori del balcone, dove il vento li sta facendo cantare…

Questi panni svolazzanti mi hanno fatto ricordare quando, bambina, accompagnavo mamma a fare il bucato.  La lavatrice entrò in casa quando noi sorelle eravamo già grandi, mettendo insieme i nostri primi stipendi, ma allora – quando finalmente era tornata l’acqua che durante la guerra e il primo dopoguerra dovevamo andare a prendere ad un nasone  (fontanella) vicino – o si lavavano i panni nella vasca da bagno con l’asse per insaponare, (a dire il vero c’era già qualche detersivo ma mamma era un po’ ostica alle novità così continuava ad usare il classico Sapone di Marsiglia) o si andava a fare il bucato in terrazza.

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All’ultimo piano del palazzo c’era la terrazza condominiale, una parte coperta con le grandi vasche ed una scoperta con i fili per tendere.

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Per me era un divertimento. Non eravamo mai soli per cui mentre mamma lavava chiacchierando con le altre signore io giocavo con gli altri bambini. Poi, al momento di mettere i panni sui fili seguivo mamma portando il cestino con le mollette… mi sentivo molto importante per questo incarico!

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Sul muro della terrazza c’era una scaletta da marinaio dove ci arrampicavamo – quando non ci vedevano – da cui si aveva una vista panoramica di Roma da levare il fiato!

Invece nonna mi raccontava che all’epoca sua le donne andavano al ruscello, (beh non lei ma la famosa Caterina che è stata la tata di tutti i bambini della famiglia: era praticamente cresciuta in casa di nonna ed ha seguito, amatissima, tutte le generazioni di figli, nipoti e bisnipoti)

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con il catino sulla testa, appoggiato sul cercine. Non ho mai capito come facessero a reggere quei grossi catini in equilibrio senza rompersi l’osso del collo.

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Quale fosse il posto l’acqua era fredda e le mani ne uscivano rosse e intirizzite, con gli immancabili geloni!

Ora con le lavatrici non ci si immagina la fatica che le donne facevano per tenere pulita la biancheria e non solo per quello!

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La contropartita era che non eravamo mai soli, c’era sempre compagnia, risate e canti!

Certamente abbiamo guadagnato in velocità e tecnica ma abbiamo perso la bella semplicità dei rapporti umani!

  1. Con i tuoi ricordi mi hai fatto pensare alla mia mamma china sulla vasca da bagno per il bucato spicciolo ed alla lavandaia che veniva a casa a ritirare le lenzuola perchè in casa era impossibile lavarle bene. I sacrifici che facevano le nostre mamme e nonne oggi……..non usano più. Ciao Fausta

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  2. Ottimo post sia per i ricordi che suscitano emozione e tenerezza sia per le foto che fanno venire alla mente un mondo perduto dove la miseria era palese ma dove ogni cosa veniva conquistata con fatica e semplicità due cose che ai giorni nostri non conosciamo. Buona giornata.

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  3. il rito del bucato con l’avvolgimento delle preziose lenzuola e corredo bianco in un telo ed il versare l’acqua bollente ed alla fine lo scioglimento della cenere.. che mani piagate alla fine del bucato. Anche la mia nonna sciacquava nella roggia con ogni stagione i panni, perché l’acqua che scendeva dalla montagna era gratuita… ricordo d’inverno che teneva una pentola di acqua calda vicino alla roggia per riscaldarsi ogni tanto le mani e temprare il freddo.

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  4. Ciao Fausta. Ah, il bucato. Che bella invenzione la lavatrice! Anticamente i panni venivano messi dentro una specie di imbuto di pietra, e vi si versava dell’acqua. Lo strano recipiente aveva un buco da cui suciva l’acqua sporca. Ed altra acqua veniva versata per frla scendere poi attraverso questo..buco. Per questo diciamo oggi.. IL BUCATO 🙂
    Sai come chiamiamo noi il “cèrcine”? “Su tidìbi. Si pronuncia “sudidìbi”. Si’, perche’ noi sardi (pochi, nella Penisola, lo sapete…:), per eufonia, “addolciamo le consonanti”. Se vedete scrutti oer esenoui “Su cani”, il cane, dovete leggere per esempio “sugàni”. “Sa festa”, la festa, e’ “savèsta”.”Sa picciòcca”, la ragazza, e’ “sabicciòcca” eccetera (la c che legato diventa g, al f legata diventa v, la p diventa b, la t che diventa d…). Quindi scritto cosi’, “su tidìbi” ma si dice “sudidìbi”, “il cercine” appunto. Bella l’immagine delle donne che andavano allora a lavare i panni (fino a non molto, in paese, c’era il fabbricato de “su lavatoriu”, il lavatoio). Le donne si ritrovavano li’, insieme. E parlavano, cantavano, si raccontavano le cose.. Quella era chat, non oggi, tutti in casa o a camminare da soli, guardando lo smartphone. Facciamo meno fatica a lavare i panni, ma si stava di nmeno insieme, se non per niente. Ciao Fausta 🙂

    Marghian

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