Non è adesso estate, e non ritornano
i giorni indifferenti del passato.
La primavera errata si è nascosta
nelle pieghe del tempo stropicciato.
È tutto quel che ho, un frutto solo,
al caldo dell’autunno maturato.
(Tagore)
Non è adesso estate, e non ritornano
i giorni indifferenti del passato.
La primavera errata si è nascosta
nelle pieghe del tempo stropicciato.
È tutto quel che ho, un frutto solo,
al caldo dell’autunno maturato.
(Tagore)
Rimettendo in ordine la libreria, alla ricerca di un libro che mi avevano chiesto, mi sono imbattuta in una scatoletta di metallo che non ricordavo più di avere. Dentro c’erano stati dei cioccolatini. Mia figlia me li aveva portati quando ero in riabilitazione – un poco di dolce per migliorare lo spirito!
Una volta tornata a casa l’avevo usata per metterci dei confetti colorati che nessuno voleva ma erano carini da vedere. Ed erano rimasti lì …
Ma, come succede, ritrovarli mi ha fatto tornare alla mente un negozio di Roma – dove andavo spesso insieme ad una compagna di scuola – che era fornitissimo di caramelle e chicche di ogni genere.
Era più o meno il 1949 ed avevo finalmente avuto il permesso di uscire da sola: per andare al negozio io e la mia amica Luciana dovevamo attraversare la Via Appia Nuova.
Certo, se penso a come è ora la strada mi scappa da ridere… nel centro, a dividere la via in due carreggiate, passava il tram blu che portava ai Castelli Romani e anche per la strada il traffico era poco ma a noi sembrava una bella impresa attraversarla!
Il negozio era grande, con due grandi vetrine colorate che già facevano pregustare le meraviglie che avremmo trovato all’interno. C’erano grandi scaffali che contenevano boccioni di vetro con tutti i tipi di caramelle e cicche immaginabili
e un bancone sempre di legno su cui erano posate confezioni regalo che a noi sembravano eccezionali … cellophane trasparente e grandi fiocchi colorati, cestini contenenti alcune specialità messe in bella mostra per l’assaggio e cucchiai argentati molto carini.
Nei miei ricordi le prime ad entrare in scena sono quelle piccole chicche di zucchero che, se non sbaglio, vengono chiamate Ginevrine: proprio le prime perché mi hanno raccontato che quando avevo pochi mesi per andare a dormire dovevo averne due o tre nella manina. Non le mangiavo ma il risultato era che al mattino avevo mano e lenzuolino appiccicosi. Cominciavo bene!!!
Quelle che piacevano tanto sia a me che alle sorelline erano le caramelle d’orzo che però non compravamo: a quel tempo avevamo il lavandino della cucina di mamo ed era divertente preparare orzo e zucchero e stenderlo sul marmo perché si raffreddasse. Quest’ultima operazione spettava a mamma perché c’era da scottarsi le dita di brutto!
Nella top ten dei miei gusti avevano un buon posto le caramelle al miele (Ambrosoli ovviamente) e quelle alla frutta, specialmente alla ciliegia.
Graditissima era anche la liquerizia: i pesciolini,
le rotelle
e quelle alte e gommose che si appiccicavano ai denti e ogni tanto dovevi staccarle col dito altrimenti restavano lì in eterno!
A mamma piacevano tantissimo le pastiglie Valda
le pastiglie Leone
ma più di tutto le gelatine che sono state per anni il regalo che le facevamo per la sua festa… viste le nostre scarsissime risorse!
Comunque allora quando si andava a trovare gli amici si portava una bella scatola di caramelle…
le scatole di metallo erano veramente belle e potevano essere riutilizzate in vari modi. Io ancora tengo gli oggetti per il cucito in una scatola di caramelle Rossana.
A proposito di Rossana ora non possono mancare in casa perché quel golosone di mio marito deve averle sempre a portata di mano … lui dice che gli servono per la gola ma chi gli crede?
Ora le caramelle non mi vanno più, preferisco un po’ di cioccolato – rigorosamente fondente – per finire i pasti in dolcezza!
Amo molto l’insalata, qualsiasi insalata…
O a pranzo o a cena una bella insalatina è sicuramente presente sulla mia tavola…
Mi piace scondita o con olio e limone o con un buon aceto balsamico…
Da sola o piena di tutto…olive, uvetta, pinoli, semi di ogni genere…
Mi piacciono i suoi verdi così diversi e mi piace quando è colorata…
Ultimamente ho scoperto anche la bontà dei fiori commestibili che danno un tocco di poesia…
E proprio una poesia ho trovato girando sul web, un inno all’insalatina e al suo condimento
OLIO E ACETO
Per la verde lattuga trasparente,
fresca la foglia aperta al suo ventaglio,
c’è quest’olio di luce, queste mente
di poggio e dal suo tartaro fiorita
la viola d’aceto, spicca l’aglio.
Il carciofo nell’indaco s’abbruna
al suo verde di panno e di laguna.
Rosso il radicchio a prendere s’avvita
nel suo cespo croccante. È la tua tavola,
un giorno che riposa – nel nome d’ogni cosa.
Ed è quasi una favola.
(Alfonso Gatto)
Gli chef Giampiero e Mariagrazia nel loro accogliente locale “Aggiungi un posto a tavola che tanto ci s’entra tutti” presentano il loro pranzo della domenica
L’occasione era nata per via dei loro tortelli di patate, oramai famosissimi tra i “clienti “ e che solo noi non avevamo ancora assaggiato…
Nella cucina gli attrezzi del mestiere fanno bella mostra di sé
sui fornelli il ragù è già pronto
ed ecco i tortelli…bellissimi da vedere anche da crudi
quando vengono amorevolmente tuffati nell’acqua bollente
durante la cottura
trovo bellissima l’acqua che bolle e gioca con i tortelli
Poi, conditi dal gustoso ragù e dal parmigiano grattugiato al momento, sono pronti per andare in tavola
Come si può vedere il gradimento degli ospiti è grande!
Vediamo anche 3 polpettoni pronti nel forno e poi nel piatto di portata uno squisito, con una gustosissima crosticina croccante di cui però lo chef non ha voluto dare la ricetta… Posso assicurare che il vassoio è stato velocemente vuotato..
Alla fine è apparsa sul tavolo una superba macedonia di frutta fresca e tagliata a pezzi piccolissimi – che solo la pazienza dello chef Giampiero aveva potuto preparare.
Insieme alla macedonia un vassoio di dolcetti: mini cheese cake decorati con frutta, cioccolato, mandorle e noci … tali – come dicevano i miei nonni – “da resuscitare i morti”… opera di una delle pasticcerie più buone di Firenze
Tutto è stato accompagnato da un ottimo vinello bianco fresco al punto giusto (scelta obbligata dal sig. Romano che beve solo bianco) ….beh, in realtà c’erano anche la birra e la coca….
Ma al di là di tutte le ricette e i buonissimi piatti una “ricetta” l’ha fatta da padrona, con i suoi ingredienti … affetto, gioia di stare insieme, di condividere la tavola e i pensieri, semplicità e buonumore….. senza di loro nemmeno i migliori ristoranti potrebbero far passare una giornata così….
Ah…dimenticavo! Alla fine un ottimo caffè….
Uno dei luoghi di rito per la Pasquetta dei fiorentini era (ma penso che lo sia ancora) il Pratone di Vallombrosa.
Il Pratone è grandissimo e può accogliere mezza Firenze senza che ci si dia noia….anzi, magari offrendo l’occasione ad amicizie nuove e per i bambini di formare bei gruppi e divertirsi tutta la giornata.
Noi, cognati, cognate, suocere e figli già formavamo un bel gruppo di 18 persone…
La sera prima, finiti i festeggiamenti pasquali, ci eravamo dedicati alla preparazione del picnic: immancabili la frittata di pasta
la schiacciata con la mortadella
le uova sode
e varie pizze salate
ovviamente con un buon Chianti e l’acqua….meglio dell’acqua fresca di montagna cosa c’è!!!!
La meravigliosa foresta di Vallombrosa copre un’area che va dai 500 ai 1400 metri circa ed era ricoperta inizialmente da faggi, castagni e cerri. Poi i monaci benedettini vallombrosani introdussero l’abete bianco creando una delle più belle abetine dell’Appennino Toscano.
A proposito dei monaci la storia racconta che ai primi di marzo del 1036 il monaco benedettino Giovanni Gualberto (che poi fu dichiarato santo) stesse scappando da Firenze a causa dei suoi contrasti con il vescovo e si trovasse in un luogo chiamato allora Acquabella. Di notte lo sorprese una tempesta e lui decise di fermarsi sotto un vecchio faggio
(Il vecchio faggio di San Gualberto)
Quando si svegliò si stupì di avere i vestiti completamente asciutti: il vecchio faggio aveva rivestito i suoi rami di foglie e l’aveva riparato! Giovanni interpretò questo miracolo come segno che si dovesse fermare lì e infatti lì fondò la Congregazione dei monaci benedettini Vallombrosani. Da quel piccolo insediamento nacque la bellissima Abbazia di Vallombrosa.
Nel 1866 il territorio passò allo stato italiano che vi insediò il primo Istituto Forestale italiano per il rimboschimento. Alle vecchie piante furono aggiunte altre specie esotiche – la più importante ed imponente è la Tuya gigantea.
Ma …. ho perso di vista il perché di questo post….. “sfogliando” i ricordi mi è venuto in mente il più divertente dei picnic passati in quel prato: il giorno di Pasqua (doveva essere il 1978) era passato col sole quindi ci eravamo preparati per il picnic del giorno dopo…. Ma lunedì mattina diluviava!!! Sperando sempre che il tempo migliorasse siamo partiti in pompa magna! Arrivati al pratone la violenza dell’acqua non dava neppure la possibilità di scendere dalle macchine. Intenzionati a passare la giornata all’aperto rimanemmo imperterriti!!!! Non c’erano ancora i telefonini per cui scambiavamo chiacchiere e pensieri urlando dal finestrini per coprire il rumore della pioggia!!!!
Al momento di mangiare, tra le risate generali, si accostarono le macchine e si iniziò il passaggio delle cibarie (ognuno aveva preparato qualcosa che poi avrebbe messo in comune). Nonostante tutto riuscimmo a mangiare in allegria…anche se con i piatti un po’ “inumiditi”!
Il ritorno a Firenze avvenne ancora sotto la pioggia battente ….. Ma – per la verità – quella fu la Pasquetta più originale e divertente che io mi ricordi!!!!
Nelle strade del centro di Firenze, dietro ai grandi portoni di legno lavorati si aprono degli splendidi cortili.
In via dei Serragli, la bellissima lunga strada
che dal Ponte alla Carraia arriva a Porta Romana,
attraversando il quartiere di San Frediano in Oltrarno si apre l’Atelier Artgianelli,
un luogo di scambio di saperi che riguardano l’arte con lo scopo di diffondere attraverso l’incontro e l’insegnamento, i mestieri dell’artigianato artistico.
Nel bel cortile c’è un locale molto particolare, il Ristorante dei Ragazzi del Sipario.
È lì che alcuni giorni fa sono stata con mia figlia a pranzo.
“I Ragazzi del Sipario” è una cooperativa onlus in cui lavorano per la maggior parte ragazzi con handicap intellettivo e sensoriale., con la presenza di alcune meravigliose persone che li guidano nella loro attività con un amore ed una pazienza infinite.
È importante per tutti , tanto più per chi ha meno capacità e risorse, potersi sperimentare, dedicarsi ad un lavoro ed ottenerne i frutti e i ragazzi ci mettono veramente tanto impegno e tanta energia.
L’ambiente è molto bello, luminoso e ampio. Alle pareti ci sono i quadri dipinti dai ragazzi, le tavole ben apparecchiate, con gusto e fantasia.
C’è tanta cordialità e ci si sente proprio come a casa propria. Il menù presenta i piatti tradizionali della cucina toscana, piatti semplici ottenuti con ingredienti di uso comune ma ben fatti e sfiziosi…
Tante storie personali – una per ogni ragazzo – che si mettono insieme per una grande avventura:
li vediamo concentratissimi quando portano i piatti da servire in tavola e si spalancano in un gran sorriso quando arrivano a destinazione senza incidenti e li ringrazi anche tu con un gran sorriso perché è proprio bello vedere l’amore che mettono nei loro gesti a volte un po’ goffi… ma qui nessuno ride di loro e il loro lavoro viene sempre apprezzato….e anche se ci scappa una risata parte proprio da loro che non si vergognano a prendersi in giro!
E’ una nuova esperienza fiorentina, “La Vetrina Toscana”, che ha coinvolto grandi chef che sono andati a lavorare con loro per insegnare nuove ricette e alcuni trucchi del mestiere,
così come artigiani locali hanno contribuito con le stoviglie e i bicchieri e alcune cooperative della Garfagnana che forniscono i prodotti per le “serate a tema” che vengono fatte il Venerdì e il Sabato. Inoltre sta iniziando anche la nuova sfida… quella del Catering e chi ne ha usufruito è rimasto veramente contento della loro bravura e simpatia!
Per la cronaca io ho preso un risotto ai porri, delizioso, ed un gustoso piatto di bocconcini di tacchino in salsa di peperoni con patate arrosto e mia figlia le penne al radicchio e taleggio e il peposo al barolo (ci siamo anche scambiate i piatti per assaggiare tutto!). poi, ovviamente un dolcetto: il tiramisù ricoperto da una squisita crema di cioccolato e il caffè. Se si deve fare un appunto ai piatti è che sono abbondantissimi ma lo chef ci ha spiegato che questi ragazzi hanno sempre fame e calcolano le porzioni sulla loro voglia di mangiare!!!!!
E questo è il mitico Edo che ci ha servito a tavola, con perizia e con tanta, tanta simpatia!
Pensa, mangia, preserva……
Una giornata che chiama alla riflessione su ciò che si mangia, per evitare gli sprechi alimentari che in tutto il mondo – o meglio solo nella parte “ricca” del mondo – ammontano a 1,3 miliardi di tonnellate……quanto basterebbe per cancellare la fame.
Non si tratta solo di garantire una più equa distribuzione del cibo ma di stare attenti al consumo del suolo, all’acqua, all’uso dei fertilizzanti e dei carburanti.
Ognuno di noi può fare, nel proprio piccolo, qualcosa per la salvezza del pianeta così da preservare il suolo e le risorse per tutti e preparare un futuro migliore per le prossime generazioni.
Come? Basta prestare attenzione ai piccoli gesti che compiamo ogni giorno e insegnarli ai bambini. Inoltre un comportamento consapevole è di stimolo anche agli altri. La via è fatta anche di piccoli passi…..
Firenze stamani si è svegliata con questo messaggio su tutti gli alberi dei viali ed in alcune piazze. Un messaggio di speranza e solidarietà: un grande collettivo abbraccio per dire a tutti che insieme si può!
Complice l’arrivo di un nipote, di un amico dall’Argentina, di una giornata di ferie presa dalla figlia e una splendida giornata di sole…qualche giorno fa abbiamo fatto una gita, un po’ per stare insieme, un po’ per far conoscere i dintorni di Firenze all’amico che ama la storia medioevale.
La presenza di mia figlia Sabina ha reso la giornata particolare perché senza di lei e della sua auto avremmo potuto vedere solo uno di questi luoghi.
Ore 9… una prima veloce fermata per una buona colazione “festiva” al bar e si parte. C’è a fare un po’ di strada dato che i luoghi da noi scelti sono tutti in provincia di Siena.
Prima tappa, l’Abbazia di San Galgano. Quando, avvicinandosi al luogo, la sagoma bruna dell’Abbazia si staglia all’orizzonte, riesco a capire quella che chiamano la “Sindrome di Stendhal”….
La costruzione dell’Abbazia iniziò nel 1218, poi lotte tra famiglie senesi e i frati cistercensi – notoriamente molto ricchi – per il dominio dei territori, le scorrerie di eserciti mercenari ed infine la peste decretarono la decadenza del luogo. Fu venduta la copertura in piombo del tetto che ne provocò la definitiva caduta.
Verso la fine dell’ottocento iniziarono i lavori di restauro semplicemente consolidando quanto restava senza interventi arbitrari.
Questo ha fatto sì che l’Abbazia , con le sue mura di travertino e di mattoni rossi, abbia un fascino incredibile per la sobrietà delle linee, per la sua posizione isolata al centro di una piana. L’assenza del tetto dà la sensazione che le mura si protendano verso il cielo.
Lasciamo a malincuore l’Abbazia per recarci alla Cappella di Montesiepi, a poche centinaia di metri su una collinetta. All’interno della deliziosa Cappella affiora dal pavimento la Spada nella Roccia: La spada, che è sicuramente del XII secolo, è appartenuta a Galgano Guidotti che, disgustato dalla sua vita licenziosa, infisse la spada nel terreno per poter avere una croce davanti alla quale pregare. Il giovane fu poi dichiarato santo dal papa Lucio III nel 1185.
All’interno della cappella ci sono affreschi di Lorenzetti ed una splendida cupola ottenuta con righe di mattoncini rossi e pietra bianca.
Per gli amanti del mistero ci sono molti punti di contatto tra la vicenda di san Galgano e quella di re Artù, infatti entrambe le vicende si svolsero nel XII secolo, c’è una particolare assonanza tra il nome di Galgano e uno dei cavalieri arturiani Galvano, e la spada nella roccia sfida da secoli chiunque voglia svelare il suo misterioso segreto. Anche la tomba presunta di re Artù è stata ritrovata all’interno dell’Abbazia di Glastonbury, anche essa senza tetto.
Dopo una gustosa merenda a base di pane toscano fragrante e salumi di cinta senese (notoriamente fra i più buoni prodotti italiani) si riparte.
Il nostro viaggio prosegue verso il Castello di Monteriggioni.
« […] però che, come in su la cerchia tonda
Monteriggion di torri si corona,
così la proda che ‘l pozzo circonda
torregiavan di mezza la persona
li orribili giganti, cui minaccia
Giove del cielo ancora quando tona »
(La divina Commedia – Inferno canto XXXI, vv.40-45)
Il tracciato delle mura segue l’andamento della collina e ogni strada è stata abbinata ad un poeta o ad uno scrittore che hanno dedicato le loro opere al territorio senese.
La visita a Monteriggioni fa tornare indietro nel tempo ….. ed a Luglio di ogni anno si può rivivere questa magia partecipando alla grande festa medievale.
Lasciamo Monteriggioni per avviarci verso San Gimignano e a metà strada troviamo il Ponte della Pia, un ponte di origine romana, ad una sola arcata.
Il ponte si può attraversare solo a piedi, mancano le spallette distrutte dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Secondo la tradizione il ponte prende il nome dalla Pia de’ Tolomei di dantesca memoria, che sarebbe stata uccisa dal marito gettandola dalla rupe che prende il nome di “salto della contessa”: Sembra che nelle notti di luna piena la Pia appaia sul ponte tutta vestita di bianco.
Siamo scesi sul greto del fiume e tra i sassi c’erano tantissime farfalle blu che sono volate via al nostro arrivo…..peccato, erano bellissime da vedere….nella foto se ne intravede solo qualcuna.
Ed eccoci arrivati a San Gimignano: il cielo si è rannuvolato ma nessun accenno di pioggia.
Per la sua caratteristica architettura medievale la cittadina è stata dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. San Gimignano è famosa soprattutto per le torri medievali che svettano sul suo panorama e che l’hanno fatta chiamare “San Gimignano dalle 100 torri”. In realtà nel periodo d’oro dei Comuni le torri erano 72, ora ne sono rimaste 16 più altre scapitozzate all’interno della città.
Una particolare curiosità sta nel fatto che la maggior parte delle case siano costruite a ridosso l’una dall’altra….così, dovendo costruire solo due facciate, risparmiavano sui materiali da costruzione. Anche dove le case erano distanziate non c’era spazio neppure per il passaggio di una persona: questi “vicoli” si chiamavano “dei malvicini” e dimostravano che c’era attrito tra le famiglie.
Arrivata a questo punto, nonostante io ami particolarmente San Gimignano, al vedere le sue strade ripidissime in salita ho salutato tutti e mi sono seduta ad un bar, davanti d un ottimo gelato, in attesa del loro ritorno….non ho dovuto aspettare tanto però….erano stanchi anche loro e hanno optato per la mia scelta!!!!
Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte
con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte
lo andiamo a ricevere
come se fosse
un esploratore che scende da una stella.
Come il pane assomiglia
al pane di ieri,
come un anello a tutti gli anelli…
La terra accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline
lo bagnerà con frecce
di trasparente pioggia
e poi lo avvolgerà
nell’ombra.
Eppure
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.
(Pablo Neruda)
Ho ricevuto in dono un delizioso quadretto:
Con l’autrice, Roberta, ci conosciamo da una vita…..quasi tutta la vita dei nostri figli.
Da tanto tempo le avevo promesso di andarla a trovare per vedere i suoi quadri: non avevo potuto andare alla sua ultima mostra e c’era il piacere reciproco, lei di farmeli vedere ( almeno quelli che ha in casa) ed io di vederli finalmente!.
Così qualche giorno fa arrivo a casa sua (con una piantina di ciclamini per farmi perdonare il ritardo).
Chiacchieriamo un po’, già in cucina ci sono alcuni dei suoi quadri, in carattere con l’ambiente.
Roberta mi racconta di come è iniziata la sua “carriera” di pittrice.
Una volta andata in pensione, aveva deciso di “mantenere il cervello in movimento” per cui si era iscritta all’Università dell’Età Libera.
La sua grande passione per il disegno le aveva fatto scegliere un corso di pittura, tenuto da un ottimo pittore. Sono passati circa 12 anni e Roberta è diventata una quotata pittrice, ha già fatto alcune mostre e si sta facendo strada nel modo dell’arte.
I suoi quadri parlano della casa attraverso i semplici oggetti di tutti i giorni, lo strofinaccio, un vaso, la frutta,
raccontano del suo amatissimo paese, Lari, in provincia di Pisa
e della sua campagna, la campagna toscana, con i suoi campi fioriti e le distese di grano, i cipressi, i castagni e gli ulivi, con la morbidezza delle sue colline.
Parlano di lei, del suo sguardo sorridente sul mondo, sia nelle grandi tele che nei quadri più piccoli a tempera e ad olio, tanto che anche una giornata di nebbia riesce a trasmettere tanta serenità.
E, siccome il suo amore per Lari non si limita al dipingerla ma passa anche attraverso la cucina e la conservazione dei prodotti della sua terra, sono tornata a casa con il quadro e con un barattolo della sua eccellente marmellata….