Molti anni fa, dopo che le bambine avevano già iniziato la scuola, iniziai a fare volontariato: mi sembrava fosse il minimo dare qualche ora del mio tempo libero agli altri, ma non sapevo dove. Una amica mi chiese di andare con lei al Cottolengo e, nonostante un po’ di titubanza, accettai.
Avevo sentito parlare di questa struttura con una serie di stereotipi e stigmi, come se fosse un luogo cupo, quasi un lazzaretto.
Invece, arrivata sulla collina del Poggetto, mi trovai davanti ad un bell’edificio, luminoso, grandi vetrate, corridoi ampi, camere accoglienti e una pulizia meticolosa.

Fui accompagnata al reparto “Santi Innocenti” e mi è tornato in mente questo lungo periodo proprio oggi che la Chiesa ricorda i piccoli innocenti uccisi da Erode.
Lì ho conosciuto delle suore – per dirlo alla fiorentina – veramente ganze, che si occupavano giorno e notte, con amore e dedizione unica, delle “bimbe” a loro affidate, nonostante la fatica dovuta alle loro difficoltà mentali e fisiche.

Ero veramente affezionata ad ognuna delle bimbe, alle loro storie, a volte veramente tristi, di abbandono e solitudine, ma erano entrate finalmente in una grande famiglia.
Potrei scrivere un libro per ognuna di loro: da Giuliana che mi applaudiva ogni volta che arrivavo e dovevo fermarmi a baciarla prima delle altre, ad Anna – che era una persona normale ma chiusa lì dentro per stare con la sorella dato che “non erano all’altezza della famiglia” o Lina che cantava di continuo le canzoni di Gianni Morandi…
Ma è di Maria che voglio raccontare, Maria che è stata per me una maestra di vita.
Maria non parlava, anche se seguiva attentamente ogni discorso che veniva fatto. L’unica sua occupazione dalla mattina alla sera era camminare, su e giù nel corridoio con passo lungo e veloce. Si fermava solo, e di malavoglia, per mangiare velocemente e ripartire.
Una mattina, mentre scendeva dal letto, scivolò e si ruppe il femore. Non era in condizioni di subire un intervento (parlo di una quarantina di anni fa, la medicina era diversa) e l’unica possibilità era che restasse immobile a letto per permettere all’osso di calcificarsi. Fu un attimo di panico… come era possibile far stare ferma Maria?
Invece, per più di un mese Maria restò immobile a letto. All’ultima visita il dottore dichiarò che l’osso si era calcificato per cui si poteva iniziare la riabilitazione, sperando che riuscisse ad alzarsi nuovamente in piedi.
Maria lo guardava con gli occhi spalancati: in men che non si dica scese dal letto e senza neppure le scarpe iniziò di nuovo il suo viaggio in su e giù per il corridoio, con un sorriso di trionfo stampato sul viso!
Con la sua voglia di vita aveva superato ogni paura, là dove noi avremmo impiegato chissà quanto tempo per riprendere il via!
Me ne sono ricordata parecchie volte, quando la paura mi tratteneva a prendere decisioni difficili… ma ho pensato a lei e tutto è diventato facile!
