Da oggi, Dio, non sei più solo Dio;
da oggi, uomo, non sei più solo uomo.
Il grembo di una donna
ha fatto nascere
qualche cosa di nuovo,
sulla terra e nel cielo.
E niente sarà più come prima.
(Adriana Zarri da “La scala di Giacobbe”)
Dalla pagina di una amica su facebook:
Se il nostro corpo è un testo
la malattia è un refuso.
La medicina del futuro
è l’attenzione alla lingua.
Badate prima di tutto alle parole,
le parole fanno tempeste
nella carne, possono fare buchi,
possono fare tane, trame, tele
di ragno.
Il male e il bene sono fasi, frasi,
sono mete, metafore
che legano un corpo all’altro,
un giorno all’altro.
Non dire una parola
che non sia felice di essere detta,
non ascoltare una parola
che non sia necessaria
come l’acqua, inafferrabile
come il vento.
SPERANZA
Pablo Neruda
Ti saluto, Speranza, tu che vieni da lontano
inonda col tuo canto i tristi cuori.
Tu che dai nuove ali ai sogni vecchi.
Tu che riempi l’anima di bianche illusioni.
Ti saluto, Speranza, forgerai i sogni
in quelle deserte, disilluse vite
in cui fuggì la possibilità di un futuro sorridente,
ed in quelle che sanguinano le recenti ferite.
Al tuo soffio divino fuggiranno i dolori
quale timido stormo sprovvisto di nido,
ed un’aurora radiante coi suoi bei colori
annuncerà alle anime che l’amore è venuto.
Ho trovato questa poesia su facebook, ma ogni volta il nome dell’autrice o autore è diverso per cui preferisco lasciarla nell’anonimato, l’autore vero saprà comunque che è piaciuta a tantissime persone.
Io la trovo piena di speranza, una carezza in un periodo così difficile e mi fa piacere proporla qui sul blog.
Eccola:
Era l’11 marzo del 2020,
le strade erano vuote, i negozi chiusi,
la gente non usciva più.
Ma la primavera non sapeva nulla.
Ed i fiori continuavano a sbocciare
Ed il sole a splendere
E tornavano le rondini
E il cielo si colorava di rosa e di blu
La mattina si impastava il pane
E si infornavano i ciambelloni
Diventava buio sempre più tardi
E la mattina le luci entravano presto
Dalle finestre socchiuse
Era l’11 marzo 2020 i ragazzi studiavano
Connessi a Gsuite
E nel pomeriggio immancabile
L’appuntamento a tressette
Fu l’anno in cui si poteva uscire
Solo per fare la spesa
Dopo poco chiusero tutto
Anche gli uffici
L’esercito iniziava a presidiare le uscite e i confini
Perché non c’era più spazio per tutti negli ospedali
E la gente si ammalava
Ma la primavera non lo sapeva e le gemme continuavano ad uscire
Era l’11 marzo del 2020
Tutti furono messi in quarantena obbligatoria
I nonni le famiglie e anche i giovani
Allora la paura diventò reale
E le giornate sembravano tutte uguali
Ma la primavera non lo sapeva
E le rose tornarono a fiorire
Si riscoprì il piacere di mangiare tutti insieme
Di scrivere lasciando libera l’immaginazione
Di leggere volando con la fantasia
Ci fu chi imparò una nuova lingua
Chi si mise a studiare e chi riprese l’ultimo esame che mancava alla tesi
Chi capì di amare davvero
Separato dalla vita
Chi smise di scendere a patti con l’ignoranza
Chi chiuse l’ufficio e aprì un’osteria
Con solo otto coperti
Chi lasciò la fidanzata per urlare al mondo
L’amore per il suo migliore amico
Ci fu chi diventò dottore per aiutare
Chiunque un domani ne avesse avuto bisogno
Fu l’anno in cui si capì l’importanza della salute
E degli affetti veri
L’anno in cui il mondo sembrò fermarsi
E l’economia andare a picco
Ma la primavera non lo sapeva
E i fiori lasciarono il posto ai frutti
E poi arrivò il giorno della liberazione
Eravamo alla tv
E il primo ministro disse a reti unificate
Che l’emergenza era finita
E che il virus aveva perso
Che gli italiani tutti insieme avevano vinto
E allora uscimmo per strada
Con le lacrime agli occhi
Senza mascherine e guanti
Abbracciando il nostro vicino
Come fosse nostro fratello
E fu allora che arrivò l’estate
Perché la primavera non lo sapeva
Ed aveva continuato ad esserci
Nonostante tutto
Nonostante il virus
Nonostante la paura
Nonostante la morte
Perché la primavera non lo sapeva
Ed insegnò a tutti
La forza della vita.
Prova anche tu,
una volta che ti senti solo
o infelice o triste,
a guardare fuori dalla soffitta
quando il tempo è così bello.
Non le case o i tetti, ma il cielo.
Finché potrai guardare
il cielo senza timori,
sarai sicuro
di essere puro dentro
e tornerai
ad essere Felice.
Anna Frank
Epifania di David Maria Turoldo
Eran partiti da terre lontane:
in carovane di quanti e da dove?
Sempre difficile il punto d’avvio,
contare il numero è sempre impossibile.
Lasciano case e beni e certezze,
gente mai sazia dei loro possessi,
gente più grande, delusa, inquieta:
dalla Scrittura chiamati sapienti!
Le notti che hanno vegliato da soli,
scrutando il corso del tempo insondabile,
seguendo astri, fissando gli abissi
fino a bruciarsi gli occhi del cuore!
Con oggi si torna ai giorni normali – ma conservando il desiderio e la curiosità del cammino e della ricerca – perchè
Pasqua Epifania tutte le feste si porta via!
Quando il sonno fa un po’ i capricci, per addormentarmi recito poesie.
Un trucco che mi aiutato tante volte a mantenere la calma.
Questa notte il vento mi ha riportato la mia prima poesia di Natale, scritta apposta per i miei quattro anni dalla mia mamma:
“E’ Natale, è Natale,
gli angioletti son discesi
hanno candide le ali
e il vestito tutto d’or!
O mammina mia diletta
O mio caro e buon papà
questa vostra figlioletta
tanti auguri oggi vi fa!”
Non è adesso estate, e non ritornano
i giorni indifferenti del passato.
La primavera errata si è nascosta
nelle pieghe del tempo stropicciato.
È tutto quel che ho, un frutto solo,
al caldo dell’autunno maturato.
(Tagore)
E’ il mese dei prati erbosi e delle rose;
il mese dei giorni lunghi e delle notti chiare.
Le rose fioriscono nei giardini, si arrampicano
sui muri delle case. Nei campi, tra il grano,
fioriscono gli azzurri fiordalisi e i papaveri
fiammanti e la sera mille e mille lucciole
scintillano fra le spighe.
Il campo di grano ondeggia al passare
del vento: sembra un mare d’oro.
Il contadino guarda le messi e sorride. Ancora
pochi giorni e raccoglierà il frutto delle sue fatiche.
Giosuè Carducci
Eran partiti da terre lontane:
in carovane di quanti e da dove?
Sempre difficile il punto d’avvio,
contare il numero è sempre impossibile.
Lasciano case e beni e certezze,
gente mai sazia dei loro possessi,
gente più grande, delusa, inquieta:
dalla Scrittura chiamati sapienti!
Le notti che hanno vegliato da soli,
scrutando il corso del tempo insondabile,
seguendo astri, fissando gli abissi
fino a bruciarsi gli occhi del cuore!
Naufraghi sempre in questo infinito,
eppure sempre a tentare, a chiedere,
dietro la stella che appare e dispare,
lungo un cammino che è sempre imprevisto.
Magi, voi siete i santi più nostri,
i pellegrini del cielo, gli eletti,
l’anima eterna dell’uomo che cerca,
cui solo Iddio è luce e mistero.
(Davide Maria Turoldo)